How Games Move Us: Emotion by Design di Katherine Isbister

Un autore è efficace quando la materia che tratta, potenzialmente complessa e "di nicchia", diventa appetibile e interessante per qualsiasi lettore. La magia di How Games Move Us: Emotion by Design di Katherine Isbister sta proprio nell'estrema leggibilità , oltre che nel viaggio che propone. Un libro di poco più di 100 pagine in un inglese molto accessibile da non perdere, sia che siate scrittori di videogiochi o semplici appassionati. La "scomposizione emotiva" del videogioco, dalla forma più basica a quella più complessa, dal single player al multiplayer, è il fine portante del libro e ne fa uno strumento di analisi retroattiva incantevole.
Chi è l'autrice?
Katherine Isbister è una ricercatrice dell'interazione fra essere umano e intelligenza artificiale, oltre che di videogiochi e di teoria del gioco. Professore al Dipartimento di Media Computazionali alla University of California, Santa Cruz, dirige anche il Center for Computational Experience. Dopo un dottorato presso la Stanford University lavora in Svezia, Giappone, Danimarca, lavorando per clienti come Microsoft, Ubisoft, Electronic Arts e molti altri. I suoi campi di studio: rapporto uomo/macchina, connessione sociale per mezzo del videogioco e, ovviamente, l'emozione potenziale delle finzioni interattive.
Il design delle emozioni
Ci ho messo un po' a scrivere di questo libro su Scenarios. È un saggio puntuale, profondo, e non è un ricettario di teorie, ma un punto panoramico sull'industria dell'intrattenimento virtuale. Un occhio sugli script, sui personaggi e persino sugli hardware che si sono evoluti insieme al comportamento dei videogiocatori. Mai ossessivamente scientifico né, al contrario, superficiale. Insomma, è un saggio che mi sta molto a cuore. La sua ricerca nelle emozioni parte dai giochi da tavolo, esplorando i meccanismi più basilari dell'immedesimazione come in Train, il gioco di ruolo in cui siamo chiamati a spostare dei treni fino a una destinazione finale rivelata solo alla fine, Auschwitz, portando nella funzione del giocatore una piccola dose di pensiero critico per mezzo di una sorta di epifania; attraversa le avventure grafiche o narrative che hanno fatto emozionare con pochissimi mezzi tecnici a disposizione, come Cart Life, definendo alcune delle chiavi per la creazione di un NPC (personaggio non giocante) che ci faccia empatizzare. Il suo viaggio continua con il mondo del multiplayer online e con la sempre crescente personalizzazione dei nostri avatar, come in City of Heroes, che vantava una fandom enorme con una lore pressoché infinita, interamente concepita dai suoi giocatori che hanno vissuto, amato e sofferto all'interno del gioco stesso. Il social play, ormai non soltanto un genere ma una coordinata a cui si affacciano tutte le software house che hanno intuito le potenzialità della connettività fra i giocatori, è un tema centrale di tutto il saggio. La nascita della personalizzazione del proprio alter-ego spalancò ancora di più le porte a quello che definiremmo una "riconoscibilità di noi stessi" nel gioco in cui agiamo (a proposito: che tipo di giocatori pensate di essere?). The Sims fa scuola. Nella seconda parte del libro, Katherine Isbister affronta nuovi tipi di controlli, dal feedback generato dal movimento con i WiiMote di Nintendo a esperimenti più sconosciuti, come la PainStation, una console che... Vi lascio la sorpresa. Tutto con la grande lente di ingrandimento dell'emozione del giocatore e delle modalità escogitate da inventori e programmatori per creare interazione e affezione. L'ultima parte, quella che preferisco, è una "raccolta" di ciò che abbiamo seminato lungo il libro: la collaborazione e la democratizzazione della rete attraverso il gaming. Non voglio dilungarmi oltre, procuratevi questo libro facilissimo da reperire.